Il lutto patologico

Prima di poter parlare di lutto complicato o patologico dovrebbero essere trascorsi almeno 6 mesi, se non 1 anno, dalla morte della persona cara e devono essere presenti uno o più, fino a cinque, dei seguenti criteri con intensità tale da compromettere la vita quotidiana. E’ importante che comunque questo tipo di valutazione venga eseguita da un professionista esperto:
a)      Nostalgia del defunto e sofferenza nel desiderio insoddisfatto di rivederlo
b)      Sconcerto, turbamento o sgomento
c)       Amarezza o rabbia al pensiero della perdita
d)      Insensibilità emotiva
e)      Sensazione che la propria vita sia ormai priva di significato
f)       Incapacità di fidarsi degli altri
g)      Difficoltà a riprendere la propria vita
h)      Incertezza sul proprio ruolo nella vita o ridotta percezione della propria soggettività

(Prigerson H.G. e altri, Prolonged Grief Disorder: Psychometric Validation of Criteria Proposed for DSM-IV and ICD-11)

Per prevedere o comprendere l’insorgenza di una situazione di lutto complicato si possono considerare inoltre alcuni fattori di rischio importanti:

  • Rapporto molto stretto o dipendenza emotiva dalla persona scomparsa
  • Paura della separazione nell’infanzia
  • Esperienze traumatiche infantili come abusi o abbandoni
  • Mancanza di contatti sociali
  • Assistenza al defunto prima della morte
  • Morte improvvisa o violenta; suicidio
  • Basso reddito
  • Atteggiamento pessimista e depressione

La caratteristica principale che contraddistingue il lutto patologico è la nostalgia percepita come tormento.

La ricerca scientifica ha dimostrato che nelle persone affette da lutto complicato “i ricordi della persona scomparsa attivano i circuiti neurali che trasmettono un senso di ricompensa”. Questo spiegherebbe in qualche modo il vantaggio di rimanere intrappolati  a lungo nella nostalgia del ricordo del defunto.

Il ruolo dei pensieri legati al lutto è fondamentale per distinguere chi soffre di un lutto normale da chi soffre di un lutto patologico. In questo secondo caso infatti le persone tendono a ripetersi più frequentemente pensieri negativi del tipo “non ce la farò mai a superare questa situazione”, “non ce la faccio più”, “il modo in cui sto reagendo non è normale”, “se mi sento così è perché ho un problema” ecc. Sempre a questo secondo caso appartengono le persone che rimuginano a lungo sulle cause della morte o sulla ricerca di un modo nel quale avrebbero potuto evitarla, oppure cercano di sopprimere i pensieri legati alla morte.

Chi pensa che la propria reazione sia sbagliata passa molto tempo a rimuginare e questo contribuisce fortemente ad alimentare la tristezza e quindi impedirne il suo superamento. Al contrario chi evita di pensare al dolore che sta vivendo può, come per altri traumi, sperimentare le intrusioni,  ricordi legati alla persona scomparsa che si presentano alla mente in maniera improvvisa, provocando reazioni di paura. In questo caso l’evitamento porta a non integrare l’esperienza del lutto nella vita psichica della persona.

La ricerca si è pertanto concentrata sullo studio della memoria, delle sue implicazioni nel lutto e nei traumi in generale, per comprendere anche quali possano essere le strade da seguire per superarli.

Si è visto pertanto che le persone depresse o con disturbi emotivi tendono  a riferire, partendo dalla parola triste, categorie generali di avvenimenti piuttosto che eventi precisi. Tale memoria autobiografica “ipergeneralizzata” potrebbe proteggere la persona dallo stress dovuto ai ricordi. Pare però che i ricordi specifici legati al defunto siano meno soggetti a questo meccanismo nel senso che un forte dolore sembra risvegliare ricordi molto dettagliati che lo riguardano. Forse perché come si diceva prima, questo tipo di ricordi attiva anche il circuito neurale della ricompensa. Da questo punto di vista la ricerca dovrà ancora fornire delle risposte che aiutino sempre più a concentrare l’attenzione sui meccanismi che alimentano il dolore della perdita e ne evitano il superamento.

Come affrontare il lutto complicato?

E’ innanzi tutto importante considerare quanto tempo è passato dalla morte della persona cara e quanto riteniamo compromessa la nostra vita quotidiana in conseguenza di tale evento. A quel punto o anche nel dubbio, è sempre meglio rivolgersi ad uno specialista che possa valutare attraverso gli strumenti adeguati la situazione e indicare, quando necessario, il percorso terapeutico più adatto.

Una terapia particolarmente utile è la psicoterapia cognitivo comportamentale. Essa ha come obiettivo finale sia quello di “ristrutturare” le convinzioni patogene circa la morte e la propria capacità di affrontarla, sia quello di aiutare le persone a riattivarsi dal punto di vista comportamentale, sostenendola nella ripresa delle diverse attività quotidiane evitate a causa del lutto. Si potrà inoltre valutare la necessità di una terapia di supporto farmacologica a seconda del caso e dell’intensità dei sintomi.

Alcuni suggerimenti

Tali suggerimenti si rivolgono in particolare alle persone che hanno a che fare con familiari, amici o conoscenti che stanno attraversando un lutto complicato. E’ una situazione delicata e stressante anche per loro e pertanto devono essere al corrente di alcuni rischi o conseguenze dei propri comportamenti.

Non relativizzare la perdita con affermazioni del tipo “andrà tutto bene, so come ti senti ecc” ma riconoscere e accettare il sentimento di inconsolabilità. Incoraggiare una persona disperata può avere l’effetto di non farla sentire compresa o di farla sentire sbagliata, incapace, non degna di aiuto.

Ammettere la propria impotenza. Cercare di non porsi nella posizione del salvatore, colui che risolverà il problema della persona sofferente. Sarà lei stessa infatti ad uscirne, voi non potete farlo al posto suo.

Dare alla persona lo spazio per poter manifestare i propri bisogni. Fate in modo che sia la persona a manifestare le sue esigenze, così non correrete il rischio di fornire aiuto come o quando non necessario.

Offrire assistenza pratica ma lasciare che la persona decida da sé. Supportate praticamente la persona in difficoltà, ma non decidete cosa è bene o no per lei. Questo può saperlo solo la persona interessata e via via che starà meglio sarà in grado di comprenderlo e comunicarlo.

Avere pazienza senza aspettarsi gratitudine. Aiutare una persona depressa può essere molto faticoso e spesso si corre il rischio di diventare insofferenti o rabbiosi verso la persona che “non si decide” a stare meglio. Questa vostra reazione potrà veicolare alla persona il messaggio che effettivamente non ci sia speranza, che non sia degna di aiuto o che una persona “normale” dovrebbe star meglio velocemente. Inoltre la persona sofferente spesso starà troppo male per mostrarsi grato nei vostri confronti e riconoscere il vostro impegno. Non fatela sentire in colpa per questo. Quando starà meglio sarà molto più probabile che si renda conto del vostro aiuto e reagisca di conseguenza.

 

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