La fobia sociale è definita secondo il DSM-IV come “una marcata e persistente paura di trovarsi in situazioni o di compiere delle prestazioni pubbliche, dove l’individuo può provare imbarazzo”. Per poter effettuare diagnosi, questa esposizione deve provocare immediatamente un aumento di ansia e la paura che ne deriva deve compromettere in maniera significativa la routine quotidiana dell’individuo.
In generale il fobico sociale teme che le proprie prestazioni possano esporlo alla valutazione negativa degli altri. La persona può ad esempio aver paura di mangiare in pubblico perché gli altri potrebbero notare che gli tremano le mani, oppure di parlare in pubblico perché potrebbe balbettare, oppure di mostrarsi in ansia ad esempio arrossendo.
Il concetto di paura del giudizio degli altri è l’aspetto centrale del disturbo ed è fortemente implicato sia nella genesi che nel mantenimento del disturbo.
Secondo il modello cognitivo della fobia sociale di Clark e Wells, la caratteristica fondamentale della fobia sociale è il forte desiderio di dare una buona impressione di sé agli altri, ma questo desiderio è accompagnato dall’insicurezza e l’incertezza circa la sua riuscita.
I fobici sociali considerano le situazioni sociali fonte di pericolo in quanto rischiano di agire in modo inappropriato e ciò porterà conseguenze drammatiche quali rifiuto e umiliazione da parte degli altri. Questo grave attacco al loro status sociale avrà delle ricadute anche sulla percezione stessa che l’individuo avrà di sé. I giudizi di pericolo attivano l’ansia e i cambiamenti fisiologici, cognitivi, comportamentali ad essa connessa. Questi saranno considerati ulteriori fonti di pericolo in quanto minaccia alla propria capacità e porteranno ad una conseguente crescita del livello di ansia e al mantenimento del problema. I fobici sociali concentrano particolarmente la propria attenzione sui sintomi somatici sperimentati in quanto temono che gli altri possano giudicarli per questo e che essi siano segno della loro incapacità, debolezza, inferiorità. Tale attenzione rivolta ad aspetti marginali della situazione porta il fobico sociale ad avere una peggiore prestazione sociale e a non tener conto di informazioni interpersonali più oggettive.
Per evitare situazioni spiacevoli il fobico sociale adotta comportamenti protettivi, che in realtà non fanno altro che mantenere i livelli di ansia e il disturbo stesso. In realtà tali comportamenti spesso peggiorano la prestazione stessa oppure portano la persona a pensare che il giudizio negativo da parte degli altri non ci sia stato grazie alle precauzioni prese e non per altri motivi. In alcuni casi la persona evita completamente le situazioni sociali. In questo modo non ha la possibilità di trovare una disconferma alle sue paure e preoccupazioni.
L’aspetto interessante di questo approccio risiede anche nell’accento posto sul processo di autovalutazione che guida i comportamenti, cioè il modo in cui la persona pensa di apparire agli occhi degli altri: il contenuto di questa impressione influisce sul livello di pericolo percepito nelle situazioni sociali.
L’attenzione incentrata su di sé porta il fobico sociale a porsi in una prospettiva di osservazione, come se qualcuno dall’esterno lo stesse osservando. Perciò spesso l’idea presunta che gli altri hanno di lui si crea a partire da sensazioni interne fisiche, dalle emozioni sperimentate. Tali valutazioni non sono pertanto veritiere rispetto alla prestazione effettiva o al reale parere degli altri.
Un ulteriore problema nel caso della fobia sociale sta nel fatto che le conseguenze temute e cioè il rifiuto, l’umiliazione, l’essere fissato, possono capitare realmente. Non è questo però il problema principale, in quanto sono situazioni che possono capitare normalmente a chiunque, ma il significato assunto per il fobico sociale. Egli infatti una volta sperimentate tali sensazioni riterrà di avere maggiori probabilità di ottenere risultati negativi anche in futuro.
Secondo il modello di Clark e Wells le credenze disfunzionali su di sé (tremerò, sarò agitato, dirò la cosa sbagliata) rendono l’individuo vulnerabile a diversi fattori cognitivi e comportamentali che mantengono il disturbo.
In maniera schematica esse sono:
1) nucleo delle credenze di sé (ad es. sono noioso, sono strano, sono stupido)
2) convinzioni sottoposte a condizioni (ad es. se mostrerò di essere ansioso gli altri penseranno che sono stupido)
3) rigide regole sociali per le prestazioni in pubblico (ad es. devo apparire sempre intelligente e fluente nei discorsi).
Il trattamento della fobia sociale prevede innanzi tutto la ricostruzione del proprio modello del disturbo individuando quali sono le emozioni, i pensieri automatici negativi, i comportamenti protettivi e le credenze relative alla percezione di sé. A partire da questa ricostruzione si attueranno una serie di tecniche cognitive e comportamentali volte al cambiamento delle credenze disfunzionali e al superamento dei comportamenti protettivi in modo tale che la persona sia in grado di vivere in maniera più funzionale e soddisfacente le proprie relazioni interpersonali e affettive, per altro molto desiderate e a riconquistare una maggiore autostima ed una valutazione più veritiera delle proprie capacità e delle proprie prestazioni sociali.
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