Il trauma dell’abuso sessuale

Fabrizia è una bella signora di 50 anni. Indossa abiti maschili che nascondono le forme del suo corpo, ha un taglio di capelli maschile e non si concede nemmeno un filo di trucco. Ogni cosa del suo aspetto e dei suoi gesti sembra manifestare il suo  bisogno di nascondere la donna che abita in lei.

E’ sposata da tanti anni e ha due figli ormai grandi. Suo marito, un uomo semplice che le vuole bene, provato dalla vita, ha trovato rifugio nell’alcol.

Fabrizia è nata in una famiglia numerosa e povera. Per tutta la vita ha dovuto badare ai fratelli più piccoli. La sua mamma, impegnata ad occuparsi dei suoi genitori malati e a rincorrere un marito assente e dedito al gioco d’azzardo, non è mai stata particolarmente incline a manifestare affetto e si è presa cura di Fabrizia il minimo indispensabile.

Fabrizia è dunque una bimba sola ed ha imparato che il suo ruolo è prendersi cura degli altri e non chiedere nulla, non aspettarsi nulla.

Nonostante il dolore infinito e la fatica, Fabrizia riesce a raccontarmi di essere stata ripetutamente abusata tra i 9 e i 12 anni da un amico di famiglia. Una persona “buona, che aiutava tanto la famiglia” e che la cercava quando era sola e le chiedeva di “toccarla e farsi toccare”. Fabrizia racconta di aver cercato di parlare con la mamma di tutto ciò con il risultato di essere sgidata, tacciata di essere una pazza che si inventa le cose  e che rovina il buon nome della famiglia e di ricevere la minaccia di raccontare tutto al papà. Fabrizia rimane sola, come sempre, confusa e incredula. Non capisce se realmente si è trattato della sua immaginazione e se davvero lei è una pazza visionaria oppure no.

Fabrizia cresce e cresce dentro di lei un senso profondo di disgusto per sè stessa, per il sesso e per il suo corpo. Fatica a metterlo a fuoco, fatica a parlarne e fatica a collegare questa cose allo scarsissimo desiderio sessuale che da sempre la caratterizza.

Si è lasciata andare con suo marito “dissociando” queste parti di sè e ha deciso di chiedere aiuto nel momento in cui sono comparse delle difficoltà erettili nel marito. La disfunzione sessuale del marito, di cui Fabrizia si sente responsabile, la fa sentire indegna e mostruosa.

La storia di Fabrizia è molto simile a quelle di tante donne e uomini che hanno vissuto il trauma di un abuso sessuale e che chiedono aiuto alla psicoterapia per difficoltà apparentemente lontane dall’evento traumatico ma in realtà vicinissime.

Quali sono i rischi psicologici che corre un bambino traumatizzato da un abuso?

L’abuso sessuale espone un bambino al rischio di non capire e non accettare il proprio genere, al rischio di sviluppare gravi problemi relazionali e gravi disturbi del comportamento sessuale. I problemi normalmente non sono solo a carico del comportamento sessuale dal momento che il trauma sessuale contribuisce tipicamente alla genesi di un disturbo di personalità, di gravi disturbi dissociativi e a carico della condotta alimentare (Carini, Pedrocco Biancardi e Soavi, 2001).

Il bambino che ha subito un abuso è un bambino che manifesta sempre qualche segnale di disagio a casa o/e a scuola. E’ importante prestare la massima attenzione a questi segnali che sono spesso segnali comportamentali evidenti. Ad alcuni bambini può accadere di ricominciare ad avere problemi di enuresi notturna, di ritornare a fasi precedenti dello sviluppo alimentare o cognitivo, ad avere difficoltà di concentrazione, a piangere più spesso, a sviluppare disturbi psicosomatici, fobie o rituali ossessivi, a manifestare un’eccessiva e turbata attenzione al corpo o alla sessualità. Segnali di sofferenza che non possono essere spiegati in altro modo devono necessariamente destare sospetto.

Se la risposta all’abuso è immediata e corretta, garantisce migliori risultati. Si tratta di accogliere lo smarrimento del bambino, di dichiararlo ragionevole e sensato, di autorizzarlo e accompagnarlo verso una rilettura rassicurante di ciò che è accaduto almeno per quanto riguarda l’integrità di sè, il suo valore personale, la sua amabilità e il potere di farsi proteggere dalle vere figure di attaccamento. Probabilmente i danni prodotti dal fatto in sè sono molto infereiori a quelli prodotti dall’impossibilità di attribuirgli un significato. Si tratta quindi di rendere leggibile e condivisibile un evento traumatico che spesso, invece, viene negato, sminuito o addirittura attribuito alla responsabilità di chi lo ha subìto.

Ovviamente non è mai facile formulare un’ipotesi di abuso sessuale intrafamiliare o comunque da parte di vicini/insegnanti/amici. E’ raro infatti che un abusante si presenti come persona abietta e pericolosa, i bambini non sono sciocchi e si tengono alla larga da persone palesemente pericolose. Si avvicinano però a persone apparentemente innocue e capaci di confonderli, di creare confusione tra buone e cattive carezze.

A volte è il contesto educativo stesso a predisporre all’abuso allentando la guardia in nome di presunti diritti alla privacy. A volte poi basta davvero poco a convincere un bambino reso fragile da un mondo che non gli insegna più a fare rinunce per crescere e per proteggersi. Forse non bastano le caramelle ma qualche promessa ben raccontata è più che sufficiente. Subito dopo viene la minaccia di dirlo ai genitori, il ricatto sulle sensazioni strane e inclassificabili che comunque ha provato, l’attribuzione di responsabilità e di colpa per ciò che ha fatto, la proposta di protezione al prezzo altissimo della connivenza col suo persecutore. Il bambino è oppresso, confuso, incapace di riconoscersi e di capire cosa gli stia succedendo. Per fortuna parla il suo corpo ma bisogna che ci siano adulti disposti ad ascoltarlo anche quando dice cose orrende proprio su chi è più vicino.

 

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Bibliografia Carini A., Pedrocco Biancardi M. T., Soavi G., L’abuso sessuale intrafamiliare, Cortina, Milano, 2001.