Il Disturbo d’Ansia di Separazione dell’infanzia

Il concetto di ansia in età evolutiva è legata a due grandi aree tematiche: lo sviluppo del repertorio emozionale del bambino e i processi di regolazione e di controllo degli stati emotivi. Grazie allo studio di quest’ultima area siamo in grado di discriminare tra un’ansia “normale” ed un’ansia “patologica”.
Si ritiene che la maggior parte della patologia riscontrata in età adulta possa aver origine nell’età evolutiva. Pertanto lo studio della psicopatologia dell’età evolutiva ha il doppio vantaggio di aiutare a spiegare la sofferenza di bambini ed adolescenti e di fornire una maggiore comprensione dei meccanismi neurobiologici e neuropsicologici che sottendono molte patologie psichiatriche degli  adulti.

La caratteristica più importante ed evidente del disturbo d’ansia di separazione è la manifestazione eccessiva di ansia nel momento in cui il bambino si deve separare da una figura familiare per lui particolarmente importante (di solito la mamma). Il livello d’ansia deve essere chiaramente superiore rispetto al livello di sviluppo del bambino e presentarsi per la prima volta entro i 6 anni.

I bambini che soffrono di questo disturbo di solito si comportano normalmente   in presenza delle figure di attaccamento e manifestano disagio solo nel momento del loro allontanamento.

Criteri diagnostici per il Disturbo D’ansia di Separazione:

Ansia inappropriata ed eccessiva rispetto al livello di sviluppo riguardo alla separazione da casa o da coloro a cui il soggetto è attaccato, come è evidenziato da 3 (o più) dei seguenti elementi:

a) Malessere eccessivo ricorrente quando avviene la separazione da casa o dai principali personaggi di attaccamento o quando essa è anticipata con il pensiero.
b) Persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita dei principali personaggi di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualcosa di dannoso.
c) Persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento spiacevole e imprevisto comporti separazione dai prinncipali personaggi di attaccamento (per esempio essere smarrito o essere rapito).
d) Persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola o altrove per la paura della separazione.
e) Persistente ed eccessiva paura o riluttanza a stare da solo o senza i principali personaggi di attaccamento in casa, oppure senza adulti significativi in altri ambienti.
f) Persistente riluttanza o rifiuto di andare a dormire senza avere vicino uno dei personaggi principali di attaccamento, o di dormire fuori casa.
g) Ripetuti incubi sul tema della separazione.
h) Ripetute lamentele di sintomi fisici (per esempio, mal di testa, dolori di stomaco, nausea o vomito) quando avviene o è anticipata con il pensiero la separazione dalle principali figure di attaccamento.

La durata dell’anomalia è di almeno 4 settimane

L’esordio è prima dei 18 anni

L’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, scolastica (lavorativa), o di altre importanti aree del funzionamento.

L’anomalia non si manifesta esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, di Schizofrenia, o di altro Disturbo Psicotico e, negli adolescenti e negli adulti, non è meglio attribuibile a un Disturbo di Panico con Agorafobia.

Fonte: American Psychiatric Association (1994)

QUALI SONO LE CAUSE?

Come in tutti i disturbi d’ansia dell’età evolutiva le cause sono molteplici, implicando sia aspetti neurobiologici e temperamentali  che relazionali, affettivi, sociali  ed educativi, in interdipendenza tra loro.

Secondo il modello clinico Cognitivo Comportamentale l’ansia, nelle sue manifestazioni emotive, neurofisiologiche e comportamentali, è determinata da particolari modalità di elaborazione cognitiva messa in atto dal bambino in particolari situazioni, che implicano a più livelli (percettivo, inferenziale, valutativo) processi cognitivi distorti.

Nello specifico sembra che il bambino reagisca alla propria rappresentazione cognitiva dell’ambiente piuttosto che all’ambiente così com’è.

Nei disturbi d’ansia prevalgono infatti schemi cognitivi dominanti riguardanti minacce di perdita, intenso timore per le critiche o di danno fisico, rispetto ai bambini non ansiosi.

I bambini ansiosi appaiono spesso tormentati da pensieri negativi quali ad esempio la paura di essere abbandonati, feriti, spaventati, dalla sensazione di pericolo di fronte ad un nuovo stimolo,dalla propria autovalutazione di incapacità ed inadeguatezza.

Lo scompenso clinico tende  a verificarsi in coincidenza con eventi che attivano:

a)      Gravi timori di perdita (ad esempio un trasloco, un trasferimento, perdita di un familiare importante, allontanamento per lavoro di una figura familiare di riferimento)

b)      Percezioni intollerabili di costrittività nel bambino (ad esempio incontro con un insegnante particolarmente rigido o critico)

L’impossibilità di riconoscere e spiegare  in modo coerente le fluttuazioni emotive porta a spiegarsele in termini di malattia fisica o di cause esterne.

I sintomi prodotti a questo punto dal bambino come ad esempio malesseri fisici (mal di testa, nausea, vomito) o la “fobia scolare” (non voler andare più a scuola) cercano di ripristinare l’equilibrio relazionale minacciato. Il bambino mette in atto cioè strategie che gli consentano di ripristinare la vicinanza delle proprie figure di accudimento fonte di cura e sicurezza.

Questi comportamenti del bambino vengono spesso erroneamente interpretati dalla famiglia come evitamenti di un pericolo esterno (spesso proveniente dall’ambiente scolastico). Determinano inoltre nei  genitori delle risposte di allontanamento che confermano nel bambino i sentimenti di paura per la perdita e lo spingono ad attuare nuovamente comportamenti di controllo e di prossimità, alimentando un circolo vizioso che si automantiene.

Vediamo un esempio: il bambino percepisce ansia per la separazione, rifiuta di andare a scuola (per stare insieme alla mamma e mantenere la vicinanza), la mamma lo allontana per contrastare il suo evitamento, aumenta l’ansia del bambino che si sente abbandonato e quindi minacciato nella sua sicurezza, aumentano gli evitamenti e i comportamenti coercitivi per mantenere la vicinanza e placare così l’ansia.

La madre non riconoscendo la normale ansia e paura sperimentata dal bambino per la separazione, ed  attribuendola ad una causa esterna, rompe la sintonizzazione affettiva con il figlio ed alimenta i comportamenti disfunzionali del bambino volti alla ricerca di sicurezza e rassicurazione.

QUAL’E’ IL TRATTAMENTO PIU’ ADATTO?

In un’ottica terapeutica che segua un inquadramento diagnostico e funzionale di tipo cognitivo comportamentale gli obiettivi terapeutici utili da perseguire possono essere i seguenti:

1)      aiutare il bambino ed i suoi genitori a porre adeguatamente la loro attenzione all’interno della relazione piuttosto che all’esterno, in particolare aiutandoli a riconoscere e gestire quelle situazioni in cui si accendono i meccanismi che mantengono l’ansia da separazione

2)      ripristinare comunicazione e condivisione empatica tra madre e bambino rispetto a questa specifica area

3)      introdurre maggiore capacità di riconoscimento e regolazione degli stati interni emotivi, imparando cioè a riconoscere le attivazioni emotive di  paura come uno stato discreto (con un inizio, una durata ed una fine), a dare loro un nome, a discriminarle nelle loro varie tonalità (preoccupazione, tensione, allarme, panico..) a comunicarle verbalmente e ad attuare strategie comportamentali efficaci per gestirle.

L’obiettivo finale e più importante è quello perciò di aiutare la madre a sintonizzarsi emotivamente con il bambino senza mettere in atto abituali strategie di normalizzazione, sdrammatizzazione , razionalizzazione o qualsiasi altra modalità tenda a ripristinare un’attribuzione esterna alla causa dell’emozione di ansia e paura. La mamma cioè oltre che comprendere cognitivamente ciò che suo figlio sta esprimendo in quel momento, deve anche immedesimarsi emotivamente, mettendosi nei suoi panni in modo tale da percepire ciò che il suo bambino sente e prova. Solo a quel punto potrà spiegare al suo bambino che cosa sta provando in quel momento, come si chiama quell’emozione, quale evento l’ha scatenata e che cosa si può fare per gestirla e superarla.

Il terapeuta perseguirà questi obiettivi attraverso il coinvolgimento sia dei genitori (principalmente la mamma), che del bambino e qualora possibile della scuola affinchè lavorino in maniera congiunta e funzionale per il superamento della problematica ansiosa e delle difficoltà relazionali.

 

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