I Met You
La storia di Nayeon e della sua mamma ha fatto il giro del mondo. La realtà virtuale ha reso possibile, a distanza di 7 anni dalla morte della bambina, affetta da una malattia rara, che la sua mamma potesse incontrarla di nuovo.
Il progetto si chiama “I Met You” ed è prodotto dalla Munhwa Broadcasting – un’emittente sudcoreana – che ha raccontato l’incontro in un video-documentario pubblicato il 6 febbraio.
“Forse è un vero paradiso – ha detto la mamma dopo l’esperienza – Ho incontrato Nayeon, che mi ha chiamato con un sorriso, per un tempo molto breve, ma è stato un momento felice. Penso di aver avuto il sogno che ho sempre desiderato”.
Ma siamo sicuri sia veramente così?
La realtà virtuale viene proficuamente utilizzata anche in psicoterapia nel trattamento di alcune fobie, per ridurre i comportamenti di evitamento. Lungi dal nostro intento è criticare lo strumento in sé, ma ci sembra opportuno comprendere bene l’uso che se ne può fare e fornire degli spunti di riflessione sul suo utilizzo in situazioni tanto delicate.
L’elaborazione del lutto
Noi psicologi che ci occupiamo di lutti e di traumi, non possiamo che essere portati a farci delle domande e a riflettere sugli effetti che questo tipo di applicazioni estreme della realtà virtuale potrebbero comportare in chi ha subito una perdita tanto grave.
Il lutto è un processo complesso, che permette di fare a meno di qualcuno che si è amato, del vissuto condiviso assieme, delle prospettive future, oppure di rinunciare – quasi mai per scelta – a una situazione, ad un percorso di vita che finisce, ai progetti e a un’idea di sé e del futuro che, invece, si chiude e svanisce.
La persona in lutto, come ben spiegato da Elizabeth Kubler Ross, mette in atto delle “manovre” specifiche: dopo aver negato lo stato e il fatto luttuoso e dopo aver preteso che la realtà fosse diversa, continua a non accettare la perdita ma inizia a prenderne effettivamente atto, includendola in un campo di pensieri, parole e ragionamenti che sono un misto fra fantasia di cose razionalmente impossibili e realtà. Proprio l’inizio di questa commistione permette al “lavoro del lutto” di procedere, portando la persona verso le fasi successive e verso la possibilità di andare avanti. In questa fase, le emozioni iniziano pian piano a stabilizzarsi e vi è un ritorno alla realtà. Si acquisisce consapevolezza della situazione attuale, ma si può ricominciare gradualmente a sentirsi bene. Si riescono a trascorrere delle giornate piacevoli, ma anche dei giorni tristi e pesanti, e poi di nuovo delle giornate positive. Questo significa poter continuare la propria vita nonostante il vuoto lasciato, riconquistando uno stato di benessere man mano crescente.
Le implicazioni della realtà virtuale sull’elaborazione del lutto: domande e riflessioni
Quello che viene da chiedersi, partendo dalla storia di Nayeon, è se esperienze di realtà virtuale possano ostacolare il processo di elaborazione del lutto, che è già di per sé un processo lungo e doloroso, rendendo difficile comprendere e accettare che veramente la persona amata non c’è più.
Atteggiamenti comuni e diffusi in caso di eventi luttuosi, come guardare le fotografie o vedere i video della persona defunta, hanno una valenza profondamente diversa. Infatti, non comportano alcuna interazione con la persona scomparsa, come invece avviene nella realtà virtuale, e quindi mettono chi ha subito la perdita di fronte al fatto che ciò che si osserva è passato.
Il senso del processo di elaborazione del lutto consiste proprio nell’accettare l’ineluttabilità della perdita, per cui creare interazioni virtuali con il defunto dopo la morte porta a chiedersi se tutto questo possa complicare il processo di elaborazione, rendendo più difficile accettare la perdita stessa e andare avanti anziché poter riparare a tutto quello che è rimasto in sospeso con la persona stessa.
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