Ai tempi della pandemia lo smart working è diventata la modalità lavorativa più utilizzata in tutti quei settori dove la presenza fisica non è indispensabile, in Italia e nel resto del mondo.
Questa soluzione, nel momento storico particolarissimo che stiamo vivendo, ha permesso a molte aziende di ridurre i rischi per la salute derivanti dall’assembramento negli uffici e in alcuni casi ha portato anche vantaggi concreti nell’organizzazione e gestione delle famiglie, soprattutto nel periodo di chiusura delle scuole o in caso di malattia e assenza dei figli.
Tralasciando i risvolti sull’economia, ci chiediamo però se lo smart working migliori davvero il benessere di tutti i lavoratori, soprattutto nel momento in cui diventa una condizione persistente. In questo caso, infatti, potrebbe portare al fenomeno della dipendenza da lavoro o job addiction.
Al di là delle differenze individuali che contribuiscono a definire il profilo del lavoratore “job addicted” o “workaholic”, per usare un altro termine di moda che denota la dipendenza da lavoro, contano anche aspetti culturali legati proprio alla tecnologia, che può seguire la risorsa umana in qualsiasi luogo, collegando costantemente i lavoratori all’ufficio, anche al di fuori dell’orario di lavoro. Se questa possibilità ai tempi del covid 19 è stata da un lato sicuramente un bene, dall’altro noi psicoterapeuti abbiamo iniziato a notare come diversi pazienti riferiscano di quanto la loro vita lavorativa sia peggiorata, comportando un notevole aumento delle ore lavorate e del loro impegno lavorativo, proprio da quando lo smart working è diventato l’unica forma di lavoro possibile
In uno studio sul lavoro agile nelle Pubbliche Amministrazioni italiane (Tripi & Mattei, 2020) durante il la pandemia, gli autori rilevano come lo smart working tenda a diminuire lo spazio sia fisico sia psicologico tra vita privata e vita lavorativa, in quanto rende il lavoratore iperconnesso.
Inoltre, il fatto di non cambiare ambiente porta ulteriormente a confondere il momento del lavoro e la vita privata, per cui a volte l’attività lavorativa si estende a dismisura.
Quindi diventa fondamentale porre dei confini a tutela della propria vita privata.
Ecco alcuni spunti per far sì che lo smart working non diventi job addiction.
Innanzitutto, cerca di darti degli orari, un po’ come quando andavi fisicamente in ufficio.
Questo ti aiuterà a prenderti delle pause, che è importante anche per migliorare l’attenzione e la concentrazione, che dopo molto tempo passato a lavorare fisiologicamente scema, diminuendo il rendimento.
Poi tutela la tua pausa pranzo, prenditi almeno un’ora di pausa in cui non guardi né pc né cellulare aziendale.
Cerca poi di prevedere almeno un’attività al giorno che ti porti fuori casa. Cambiare ambiente è importante: aiuta a far sì che il lavoro non diventi totalizzante.
Ultimo ma non in ultimo, anche nel contesto “virtuale”, è importante riflettere sulle esigenze del lavoratore e sulle possibili criticità organizzative.
In questo modo, potrai godere maggiormente dei vantaggi connessi allo smart working, piuttosto che accusarne gli effetti collaterali.
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